Rossana Rossanda, allieva del filosofo Antonio Banfi all’Università Statale di Milano, nominata da Palmiro Togliatti responsabile della politica culturale del Partito Comunista Italiano e tra i fondatori de “Il Manifesto”, nata esattamente 100 anni fa, così si presentava “Sono nata a Pola, in una terra di frontiera. Sono venuta su in una famiglia che aveva un’idea della convivenza non nazionalista. Negli anni Venti e Trenta, prima che me ne andassi via, si parlava tedesco, sloveno, italiano, in una quotidianità plurilingue, ancora priva di tensioni etniche … Cosa vuole che siano le radici. Non ci penso. La vera identità uno la sceglie, il resto è caos …“ Consonante, forse, a Luigi Pirandello: “Io sono figlio del Caos; e non allegoricamente, ma in giusta realtà, perché son nato in una nostra campagna, che trovasi presso ad un intricato bosco denominato, in forma dialettale, Càvusu dagli abitanti di Girgenti, corruzione dialettale del genuino e antico vocabolo greco “Kaos”.” Stefano Pirandello, padre di Luigi, per sfuggire ad un’epidemia che imperversava in Sicilia, decise nell’imminenza del parto che sarebbe dovuto avvenire a Porto Empedocle di trasferire l’intera famiglia nella casa di campagna, quasi a picco su una scogliera. Nel caso della Rossanda c’è un aggravante, se così si può dire. Era figlia di un notaio, la più itinerante delle professioni e quella, aggiungo, più prodiga di produzione documentaria. Benemeriti per quanto mi riguarda, perché ad uno di loro devo il prolungamento, quasi ad oltranza, della tradizione familiare in apicoltura. Che da parte paterna risale ad un avo, Antiogo Manias, che nel 1631 gestirà per sei anni, grazie ad un contratto di mezzadria rogato ad Ales dal notaio Delogu, i 146 alveari dei canonici della Cattedrale. Quell’atto fornisce apporto concreto, come dice la Rossanda, alla scelta della mia identità apistica, o per meglio dire alla sua costruzione. E’ carezza soccorrevole e conforto sicuro nei presenti tempi disgreganti, per riaffermare la bontà della scelta paesana. Ne La luna e i falò così scriveva Cesare Pavese: “Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo che anche quando non ci sei resta ad aspettarti».” Luigi Manias




