Non è infrequente in ambiente archivistico rilevare, tra lo sprezzo inconsapevole o la malinconica rassegnazione, giudizi che dovrebbero sottendere l’analisi di alcune condizioni operative, che sulla base della mia esperienza personale pur senza esaurire la casistica, ritengo dirimenti. Ovvero che l’inventario archivistico può essere analitico se c’è un’adeguata disponibilità di risorse finanziarie e umane, sommario se queste difettano o anche per precipua volontà di chi lo redige. L’esordio di una carriera eclatante di storico forse qualcosa deve ad un buon inventario che di sommario, ma forse provvidenzialmente, ha solo il campo del contenuto, così come racconta Carlo Ginzburg in Il caso, i casi | Carlo Ginzburg (doppiozero.com) . “La prima tappa del mio viaggio fu, com’era ovvio, Venezia: qui, nel fondo Sant’Uffizio conservato all’Archivio di Stato, si trovano all’incirca 150 buste (o meglio scatole) ognuna delle quali contiene decine e decine di processi, di varia lunghezza. Un mare di documenti. L’unico appiglio per non naufragare era un inventario manoscritto ottocentesco, che elenca per ogni processo i nomi degli imputati, la data, e una descrizione sommaria del contenuto: “eresia” “magia”, “superstizioni”, “bestemmie”. Poiché ogni studioso poteva consultare tre o quattro buste al giorno, decisi di partire dalle indicazioni generiche dell’inventario per giocare quella che, molti anni dopo, definii retrospettivamente “roulette veneziana”. La mattina entravo in archivio e chiedevo, che so, le buste 8, 23, 46, 79. Andai avanti così per molti giorni. Poi di colpo m’imbattei in un documento assolutamente inaspettato: l’interrogatorio, svoltosi nel 1591, di un giovane bovaro di Latisana, Menichino della Nota. All’inquisitore che gli chiedeva se fosse un benandante (un termine che non avevo mai incontrato) Menichino, dopo aver tergiversato un po’, rispose che, essendo nato con la camicia, ossia avvolto nel cencio amniotico, era costretto a recarsi “in spirito” con gli altri benandanti, tre volte all’anno, nel prato di Giosafatte, per battersi contro streghe e stregoni. I benandanti erano armati di rami di finocchio, le streghe e gli stregoni di mazze di sorgo. Se vincevano i benandanti, quell’anno i raccolti erano abbondanti; se vincevano streghe e stregoni, c’era carestia. Quando finii di leggere questo documento (si trattava di poche pagine) fui preso da un’emozione così forte che dovetti lasciare la sala di studio dell’archivio. Cominciai a camminare lungo la fiancata della chiesa dei Frari fumando una sigaretta dopo l’altra. (Ricordo questo particolare irrilevante, perché mi dà la misura del tempo trascorso: da decenni ormai appartengo alla folta tribù degli ex-fumatori). Mi pareva di aver fatto una grande scoperta.” Luigi Manias




