L’eccellente Maria Gioia Tavoni, con la quale ho condiviso lo stesso sontuoso spazio tipografico nel quarto Manuale Tipografico di Tallone, ha raccolto la significativa testimonianza di Giovanni Turria, docente e magna pars della Scuola Grafica dell’Accademia di Belle Arti di Venezia Giovanni Turria | Accademia di Belle Arti di Venezia | Accademia di Belle Arti di Venezia (20) Facebook La Tavoni, quando a suo tempo insieme a Barbara Sghiavetta, autorevole studiosa di editoria, visitarono la “bottega vicentina” di Turria, di fronte ad un spiegamento ricco e articolato di macchine tipografiche, più tardi glie ne chiese in https://www.insulaeuropea.eu/2023/10/31/maria-gioia-tavoni-intervista-giovanni-turria/ le ragioni e le prospettive future di tanto impegno. La risposta di Turria, che si inscrive nel solco tracciato da Enrico Tallone, Silvio Antiga, Emanuele Mensa, Luca Lattuga, merita di essere riportata nel sua integrità, a testimonianza della bontà assoluta degli intenti, della esemplarità delle motivazioni e si auspica delle progressive sorti del progetto. “Assommare tutti quei macchinari per me ha significato in primis salvarli: quando nel delicato ma anche turbolento momento di passaggio dalla stampa delle piccole tipografie a quella delle imprese industriali venivano dismesse e mandate alla distruzione intere aziende che hanno contenuto la memoria di generazioni di produttori di tipografia, lì occorreva compiere un gesto salvifico, che venisse buono anche per me e i miei collaboratori: prendere quelle macchine, portarle in salvo e rimetterle in funzione, grazie a personale specializzatissimo ma rarissimo che ancora sa come funzionano e come si aggiustano. È un mondo di ossessioni: acquirenti che compiono viaggi in tutta Italia e danno la caccia a questo mondo scomparso e lo prendono prima che cada nel baratro e dall’altra i collezionisti di questi oggetti ‘ingombranti’, di caratteri mobili e di altri strumenti da tipoimpressione, che giocano una partita in cui per alcuni lo scopo è avere delle strutture solo da esporre, che diventano musei addormentati ma inutili, solo esteticamente evocatori di quel nobile passato editoriale, e per altri invece è rigenerarle e rimetterle alla vita. Io appartengo a questa ultima fazione. E ho spesso trasmesso questo morbo ad altri, in primis a molti miei allievi che ora seguono questa strada complessa ma di grande soddisfazione. I progetti per il futuro sono quelli di continuare a valorizzare questi strumenti, impiegandoli per edizioni d’arte e piccole tirature per coloro che sanno sentire l’odore dell’inchiostro e amare la carta vera tra le mani, che sanno vedere oltre l’incisione in senso tradizionale.” Se di welfare tipografico generativo si parla, la curiosità che alimenta la chiusa di Turria chiede di essere soddisfatta. Ovvero, chi sono gli allievi dei suoi corsi e gli “altri” affetti dal morbo tipofilo e con quale continuità si propongono al pubblico giudizio, affrancandosi così dal diktat del sibi ac solibus che, ad esempio in un ambito in parte affine, connota gran parte dell’italica compagine bibliofila? Luigi Manias




