Sostiene Zia Vera 3

All’annuncio che avrei trascorso il fine settimana a Firenze e avrei beneficiato dell’ospitalità del marchese Giannozzo Pucci Vera, lapidare: “Me lo aspettavo!”. Confermandole che avevo acquistato personalmente un farmaco che lei stava assumendo, ha esclamato con convinzione: “Po cussu chi m’adi fattu profettu!”. Ricordandole che vivevo in campagna in una grande casa, ha detto: “Monumento nazionale!” Sul fatto che vivessi in luogo solitario e intendendo sfoltire un siepe di nocciolo, trova soluzione equanime. “Sin di podia prantai canc’una nai innui bivisi tui, assumanco ci anta andai is furonis”. Mi rimproverava di averle sottratto dal suo piatto le ossa di ali e cosciotti di pollo. Avendo abitudine per ogni frutto mangiato di mettere da parte i semi per propagare l’essenza, memore di letture collodiane, mi dice: “Paccau, d’obia prantai po bi chi nasciada una pudda”. Commentavo con il suo medico curante: “Zia Vera il tuo bollettino medico è migliore di quello del Papa. E lei” Issà pozzu andai a benedixi!” Sapendomi che avevo passato un fine settimana a Torino, lamentava la mia perdurante assenza, ipotizza: “Gia no adessi affungada sa navi”. Ad una OSS che aveva anticipato di mezz’ora la sua sveglia mattutina delle 10.30: “Mancu is sinzicorrus si scidanta a cust’ora”. Ad una sua collega che vedendola cenare di buona lena gli è, impudentemente, sfuggita l’amena domanda: “Ma signorina Verina quali pietanze ha mangiato durante la sua vita, che le hanno permesso di raggiungere questa veneranda età?” E lei, lesta, di rimando: “Appu pappau cussu chi mi anti donau.” La dottoressa Maria Francesca Meloni, frequente un tempo in via Amsicora 25, in merito ai cachet di cui beneficiano oggi i grandi direttori d’orchestra menzionava, a mo d’esempio, i 110.000 euro del maestro Barenboim alla Scala di Milano. E Vera speranzosa: “Ad un’altra nascita”. La stessa, in altra occasione, chiedeva a Vera se fratelli andassero a caccia: “A caccia nel piatto!”. Non avendo, allo scadere del passato anno, del tutto chiara la composizione della famiglia Manias e avendogliela ripetuta almeno tre volte, tanto da farci sembrare una moltitudine: “C’è logu po tottus”. Su un nipote, che per serie ragioni di salute non era così frequente come in passato in una comune campagna, Vera, imputava la latitanza all’ascendenza materna dei Zucca: “Esti Zucca. E is Zuccas non funti genti de satu, ma de magassinu.” Patita del bitter, le suggerisco di non imbriacarsi come era abitudine, a suo dire, di un suo quasi dirimpettaio. Di rimando: “Tanti seusu in bixianau.” Ad un mio insistente invito a raggiungermi per pranzo a Marraconi, risoluta: “Tengiu sa macchina chena arrodas”. Avendole prospettato una frittata a cena, mi ha chiesto cosa contenesse. Io vago: “ asparagi e funghi.“ Forse un assortimento esiguo per lei, che ha integrato con ”E folla de figu morisca.” Alla triste osservazione che la maggior parte della popolazione mondiale, fatta di poveri, mangia per nutrirsi, contrariamente al ricco occidente che lo fa per piacere, e alla domanda per quale ragione fra quelle esposte lei mangiasse: “Per abitudine.” Cercando di convincerla, data la raucedine del giorno, ad assumere una soluzione a base di propoli, citavo la pronta guarigione di un nostro cognato: “Giorgio Loi aveva un problema di gola come te, ha preso tre volte la propoli ed è sparito.” E lei: “Giorgio?!”. A sua nipote Teresa Manias che al telefono la informava che a pranzo la sua famiglia avrebbe mangiato spezzatino di cavallo, Vera: “E allora ne farete di corse stasera!” Ad un nipote che latitava nelle visite: “Fia cichendi unu po ti ciccai”. Su una zanzara che la tormentava: “Ma castia! No abarrada po da cassai!”. Luigi Manias